domenica 11 gennaio 2015

5x03 - American Sniper: (quasi) nel mirino


American Sniper si ispira all'omonima biografia di Chris Kyle, il cecchino più letale che la storia militare americana ricordi; quando si realizza un biopic ci sono diverse cose di cui tenere conto: fedeltà a quanto narrato, condensazione degli eventi in base al minutaggio capendo quali elementi tagliare, quali sintetizzare e quali invece enfatizzare e romanzare ed infine visione soggettiva del regista sul messaggio da lanciare. Clint Eastwood in tutto questo, riesce a metà.



Ma fughiamo ogni dubbio: American Sniper è un buon film, e va visto. Ma non è una pellicola eccelsa, ed è pregna di difetti: il montaggio è confusionale e rende alcune scene e lassi temporali poco chiari, si pone attenzione su dei personaggi poi letteralmente scomparsi dalla sceneggiatura, e il finale è stato lasciato morire quando poteva essere gestito davvero meglio. Invece, funziona tanto Bradley Cooper che qui viene mostrato provato anche da un punto di vista fisico anche se sulla caratterizzazione psicologica e l'introspezione si poteva spingere molto di più il piede sull'acceleratore. Moustafa, la nemesi di Chris è stato invece rappresentato pregno di cliché tipici dei villain dei war movie, senza alcuno spessore.


Eastwood catalizza l'attenzione degli spettatori sull'aspetto "procedurale" della guerra: poca introspezione, solo una sequenza infinita di azione quasi documentaristica che viene spezzata solo per mostrare le fasi delle conseguenze della guerra stessa al di qua del mirino quando Chris ritorna a casa dalla sua famiglia e si sente quasi parte di una realtà artificiosa e superficiale che nella sua quotidiana tranquillità ignora quante vite vengano spezzate dall'altra parte del mondo. Scindere le due realtà ha donato maggior carattere alla sceneggiatura, ma essendo la stessa tratta da un'autobiografia, si sarebbe potuto dire molto di più sulle emozioni, i pensieri e gli stati d'animo del personaggio interpretato da Bradley Cooper. Ci sono un paio di scene che funzionano davvero bene a livello di simbolismi, ma di cui non parlo per evitare spoiler del caso


American Sniper, ripeto, è un buon film, ma si pone diversi gradini sotto un altro film dello stesso genere uscito qualche anno fa e di cui a questo punto vi consiglio spassionatamente la visione: The Hurt Locker. Con quest'impostazione secondo me American Sniper avrebbe potuto funzionare decisamente molto meglio.

lunedì 5 gennaio 2015

5x02 - Galavant: canterete il suo nome


Cavalieri, spade, dame in pericolo e... canzoni demenziali. Questi sono gli ingredienti Galavant, musical comedy di ABC di ambientazione fiabesca che strizza l'occhio ai più grandicelli. Nonostante non sia proprio il mio genere, il trailer (che avrete modo di visionare in coda alla recensione) mi aveva incuriosito quanto bastava per dare un'opportunità al pilot che ho trovato sorprendentemente leggero e godibile. La trama non ve la racconterò perché nel giro di 20 minuti gli eventi si susseguono tutti piuttosto freneticamente e il ritmo della narrazione mi impedisce di accennarvi il plot senza incappare in spoiler del caso, quindi vi basti sapere che la storia vede contrapporsi il prode cavaliere Galavant contro l'armata del crudele Re Richard. La chiave di lettura predominante sono le canzoni tutt'altro che smielate e caratteristiche dei cliché tipici del genere ma molto intelligenti, brillanti e con una punta di cinismo che non guasta, mostrandosi complici alcuni riferimenti sessuali, un prodotto rivolto ad un pubblico di giovani adulti più che ragazzini. Tuttavia anche i dialoghi riescono a rendere spiritose scene che invece nella loro semplicità puzzerebbero di già visto, e permettono di empatizzare con i personaggi di cui si vuole prendere le parti (e mi spiace per l'eroe ma io sono fra le fila del villain, Re Richard, magnificamente caratterizzato da Timothy Omundson che ho imparato a conoscere ed amare in Psych).


Il prodotto si presenta come una miniserie di 8 episodi da 20 minuti l'uno e non è chiaro se la storia avrà successive stagioni oppure no, in quanto la mid-season è stata composta come fill-in per Once Upon a Time; credo che tutto sia riposto nelle mani degli showrunner che fin quando sapranno rendere briose e fresche le sceneggiature episodio dopo episodio guadagnandosi l'affetto degli spettatori, quest'esperimento potrà ripetersi. Ma è difficile primeggiare su un network che è tristemente famoso per il record di cancellazioni...


Siamo chiari: Galavant NON È un capolavoro e tanto meno un titolo imprescindibile, ma non mira neanche ad esserlo. Se cercate un prodotto frizzante e scorrevole con cui ingannare il tempo o i momenti di noia sarà strapparvi più di qualche risata.

giovedì 1 gennaio 2015

5x01 - Marco Polo, tra storia e fantasy


Per evitare il bandimento dalla Via della Seta dal Kublai Khan, nipote del terribile Gengis, il mercante veneziano Niccolò Polo offre come pegno la vita di suo figlio, Marco. Il ragazzo alla corte del conquistatore mongolo viene sottoposto a lezioni di scrittura per imparare la lingua ed arti marziali, poiché dovrà provvedere da solo alla propria difesa. Ben presto il latino -così viene chiamato dagli orientali- si ritroverà catapultato all'interno di intrighi e lotte di potere fra Mongolia e Cina dove vestirà il ruolo di osservatore e consigliere, in cui la guerra il più delle volte è un pretesto per portare a compimento i fini personali di chiunque parteggi per le parti in causa.


Questo è solo l'incipit di Marco Polo, un esperimento mediatico globale di proporzioni inaudite: la produzione dei dieci episodi che compongono la prima stagione ha superato i 90.000.000 $. Budget impiegato nelle spettacolari riprese in esterno all'interno dei territori in cui la storia viene esplorata (Italia, Mongolia, Cina e Turchia) ed aver impiegato migliaia di comparse (seconda in numero solo a Game Of Thrones), oltre che per la costruzione di imponenti set e il noleggio di strutture fatiscenti e la scelta di un cast internazionale di livello. Infatti, ci verrà subito facile riconoscere nei volti di Niccolò e Marco rispettivamente Pierfrancesco Favino (non nuovo ai blockbuster internazionali quali Angeli & Demoni, World War Z e Rush) e Lorenzo Richelmy (Sotto Una Buona Stella, 100 Metri dal Paradiso, I Borgia), così come apprezzare le performance di figure di spicco del cinema asiatico quali Benedict Wong (Kiss Kiss Bang Bang, Prometheus, Kick-Ass 2) e Chin Han (Il Cavaliere Oscuro, Captain America: The Winter Soldier, 2012), tutti nomi di professionisti che oltre che consolidare il proprio talento al cinema ed in televisione hanno formato le basi della propria carriera direttamente a teatro.


Ma se Marco Polo è senz'altro un prodotto ben confezionato nel suo involucro, non risulta certo trascurato nei contenuti: una fotografia ed una regia di livello in grado di farlo competere con prodotti quali Breaking Bad, una sceneggiatura vincente tanto realistica negli eventi storici quanto romanzata nelle situazioni sentimentali, dialoghi brillanti e personaggi a cui è davvero impossibile non affezionarsi. Le motivazioni che armano i singoli personaggi sono credibili, realistiche e per nulla scontate, e la storia in un crescendo avvincente di colpi di scena regala villain carismatici ed un grande cliffhanger finale. Particolare cura è stata donata anche alla colonna sonora d'impatto ed incisiva specie nelle lunghe sequenze d'azioni acrobatiche e ottimamente coreografate nella loro tecnica che nonostante la freniticità risultano sempre fruibili nel più piccolo passaggio.


È difficile trovare difetti in Marco Polo, probabilmente la si potrebbe definire una serie non per tutti: davanti ad un calibro tecnico e narrativo di questi livelli, una sceneggiatura impegnata ne è la naturale conseguenza e chi cerca storie contemporanee e leggere con un linguaggio più dinamico, fresco e popolare sicuramente potrebbe non apprezzare il masterpiece curato da The Wenstein Company. Se questo è l'andazzo che la serie avrà per le successive stagioni, Marco Polo non solo si confermerà una visione obbligata quanto imperdibile per gli amanti di televisione di qualità, ma la migliore serie tv Netflix ad oggi prodotta, superando anche Orange Is The New Black ed House Of Cards.

domenica 28 dicembre 2014

4x24 - Il Ragazzo Invisibile che andava visto

Il Ragazzo Invisibile mi ha letteralmente spaccato a metà.
Alcune cose funzionano sorprendentemente bene per essere una produzione italiana, altre invece vanno molto male proprio perché sono cliché tipici delle produzioni nostrane... ma bando alle ciance e come Salvatores ha sperimentato qualcosa di nuovo portando questo film al cinema, io farò altrettanto scostandomi dalle solite recensioni e limitandomi ad elencare cosa funziona (in verde) e cosa non funziona (in rosso) qui di seguito.

 

Gli "Speciali". Il Ragazzo Invisibile mostra la creazione di una mitologia ben studiata, ambiziosa e piuttosto estesa su un ramo internazionale e di un mondo talvolta solo accennato che offre margine di esplorazione in eventuali sequel, prequel e spinoff se non persino in un ambiente cross-mediale (del resto già esistono il romanzo ed una miniserie a fumetti).

 La prima cosa che salta all'occhio è il target del casting. All'estero prendono over20 per interpretare teenager: vedi un ragazzo che sembra un po' più grande della sua età e forse anche più sgamato. Artificioso? Sì, ma funziona ai fini narrativi, e quindi può starci. Nello stivale si è scelto di seguire il procedimento opposto: per interpretare i teen di turno si è ricorso quasi a dei pre-adolescenti. I protagonisti si esprimono male, mostrano infantilismo ed ingenuità tipiche di bambini di quinta elementare se non della prima media: non c'è voglia di divertirsi in linea con l'età, sono totalmente assenti pulsioni sessuali e c'è una visione dell'amore romantica per nulla in linea al testosterone contemporaneo, figlio della tecnologia e precoce nei concetti quanto negli approcci.


Le scene d'azione sono ben realizzate: coreografia dei combattimenti di buon livello, spettacolarità nella regia delle inquadrature ed effetti speciali dosati ma ben credibili (a tal proposito, il trailer è completamente fuorviante). Nulla che faccia gridare al miracolo se paragonate a produzioni estere, ma la marcia in più si vede eccome e tale gli va riconosciuta.

I cattivi sono un frutto di stereotipi completamente slegati al contesto storico. La storia si svolge ai giorni nostri ma i nemici sembrano provenire direttamente dagli anni "80, e non nell'accezione positiva del termine. Si è scelto di dare un'impronta originale agli heroes, perché non fare altrettanto coi villains di turno senza cadere nei cliché tipici che puzzano di già visto in altri film?

 

Una profonda consapevolezza delle radici italiane si respira dall'inizio alla fine e questa volta in accezione estremamente positiva. Si vede che ci si trova di fonte ad un prodotto nostrano, ma trattare il tema di conseguenza ripaga eccome mostrando una nuova chiave di lettura interessante e che con un cast un po' più maturo e con esperienza avrebbe sortito un'impressione ulteriormente positiva.

Michele non si diverte. Un adolescente che ottiene il potere dell'invisibilità sa fin troppo bene come usarla (siamo stati tutti adolescenti, e tutti almeno una volta ci abbiamo pensato), e lo spettatore non riesce ad immedesimarsi nel protagonista che sembra gestire i poteri stessi come se fosse un adulto tormentato. E questo va in netta controtendenza a quanto mostrato col punto uno di cosa non funziona (leggete sopra)! Si passa dall'essere bambini all'essere adulti a seconda del contesto, ed essendo un percorso di formazione manca la parte fondamentale: l'adolescenza, la via di mezzo che non si respira nel corso della storia.


Gabriele Salvatores ha realizzato un esperimento incredibilmente coraggioso che colpisce e sorprende in diversi punti (il secondo ed il terzo atto in particolare), ma si vede che non mastica il ramo supereroistico dato che attraverso il fantastico scorda di trattare concetti importanti come il divertimento e la spettacolarizzazione (fine a sé stessa e non per un bene più grande), spingendo a più riprese il piede sull'acceleratore del consueto pippone italiano che poteva essere evitato o trattato in modo completamente diverso per svecchiare ancora di più un progetto che con tutte le ingenuità del caso nel complesso si presenta parecchio interessante. Il Ragazzo Invisibile non mi ha completamente soddisfatto ed è pieno di difetti, ma non mi fa rimpiangere la spesa del biglietto perché è stato in grado di mostrarmi una nuova faccia del cinema italiano che ci ha provato ed io a questo tentativo ho sentito il bisogno di dare almeno un'opportunità. Fosse solo per non trovarmi in mezzo a quella mandria di ipocriti che ripete fino allo sfinimento quanto in Italia si facciano sempre le solite cose e poi non offre il suo supporto quando qualcuno (e in questo caso un Premio Oscar) prova a cambiare le cose.

mercoledì 10 dicembre 2014

4x23: The Librarians, il Doctor Who americano

Ieri sera ho visionato la doppia premiere di The Librarians.
E fra le altre cose, ci ho trovato una biblioteca che viaggia nello spazio e nel tempo, un antico manufatto maledetto che trasforma la gente in zombie, guerrieri ninja in Oklahoma e la spada nella roccia a Buckingham Palace. Già, come avrete intuito Il pilot mi è piaciuto davvero tantissimo, ma prima di parlarvene però, urge una piccola premessa.




The Librarian è un franchise originale di TNT e Warner del 2004, e nasce come tv movie che racconta le avventure di Flynn Carsen, bibliotecario della Metropolitan Public Library, il cui scopo è proteggere manufatti dagli antichi poteri magici da potenti organizzazioni criminali. Al di sotto della biblioteca pubblica infatti, ve n'è nascosta un'altra che esiste sin dall'alba dei tempi e che possiede un proprio volere ed una propria identità, conferendo il titolo di Bibliotecario ad un unico prescelto che verrà sostituito solo ed esclusivamente al momento della sua morte. Il film piacque talmente tanto che nel 2006 e nel 2008 diede vita a due seguiti formando una trilogia. Solo lo scorso anno TNT decide di fare il salto trasformando il brand in una vera e propria serie tv.

 
La serie tv si pone come sequel dell'omonima trilogia, ma offre tutti gli elementi per comprendere a pieno la mitologia della saga anche se non si è visto i film. Senza addentrarmi più del dovuto nella trama vi basti sapere che la Biblioteca sceglie per Flynn un Guardiano e per una serie di circostanze che andrete a scoprire guardando la doppia premiere, l'incontro di una squadra di apprendisti bibliotecari con diverse abilità al di fuori del comune che andranno a compensarsi a vicenda. Infatti, ciò che la serie tv vuole fare a differenza dei film è introdurre un nutrito gruppo di protagonisti a cui il Bibliotecario originale lascia il testimone (infatti Flynn è una presenza costante nel pilot ma diventerà guest-star negli episodi a venire), con diverse abilità e soprattutto approcci alla soluzione dei vari misteri che la serie presenterà; questo dona respiro alla serie e getta anche alcune incognite sul prosequio della stessa, riusciranno a sopperire il carisma del Bibliotecario originale? Onestamente i dubbi restano visto che Flynn nei primi due episodi è stato il mattatore assoluto delle vicende, rubando scena agli altri.


The Librarians non è una serie per tutti.
Mi sento di consigliarla spassionatamente a chi ha apprezzato prodotti quali Indiana Jones, Doctor Who e Relic Hunter a cui attinge a piene mani. Quando l'eccentrico e saccente Flynn si presenta dicendo: "Sono il Bibliotecario", nella vostra testa potete sentire "Sono il Dottore"; il rapporto fra il Bibliotecario e il suo Guardiano ricalcano molto quello del Dottore e della Companion mettendovi comunque del prorpio: Flynn combatte ma non è un guerriero, all'azione mescola sempre ingegno e scienza; e il mondo in cui i personaggi si muovono sfugge alle regole sfidando l'impossibile e portando -letteralmente- qualsiasi cosa all'interno della trama: dai vampiri ai cavalieri della tavola rotonda, dai licantropi agli alieni, dai cyborg a Babbo Natale... chiunque e qualsiasi cosa può diventare uno spunto narrativo per un episodio. Ed è proprio questo elemento che non la rende una serie per tutti: solo chi ha ben chiare le regole e i limiti di questo tipo di produzioni può muoversi all'interno di esse trovandole davvero entusiasmanti e divertenti, per altri potrebbe sembrare di avventurarsi in qualcosa di trash senza precedenti.

giovedì 4 dicembre 2014

4x22 - The Brave. Or The Bow


Che figata pazzesca.
Tranquilli, che nonostante l'hype non farò spoiler.
Dovrei uscirmene con qualcosa di un tantinello più eloquente, ma davvero, è impossibile se siete amanti di supereroi, comics e derivati, non risultare entusiasti da quanto è stato fatto nel crossover fra Arrow e The Flash. Suddiviso in due puntate di ambi gli show al loro ottavo episodio, la storia si mostra estremamente rispettosa delle nature dei due format, concedendo una visione alternativa dei personaggi che tutti conosciamo senza snaturarne la scrittura: sappiamo che a Central City ci sono metaumani, superpoteri e battute taglienti e quasi tutto è possibile, così come sappiamo che a Starling City la città è cruda, i nemici possono ucciderti a sangue freddo e si è costretti a sporcarsi le mani perché il gioco si fa duro... e consci delle rispettive chiavi di lettura di entrambi gli show, Barry ed Oliver si misurano con i rispettivi difetti e si compensano con i rispettivi pregi nell'approcciarsi al cattivone di turno e al primo vero e proprio teamup: Barry è in grado di donare umanità, cuore e compassione ad Oliver oltre che mettere a frutto la sua intelligenza e l'incredibile supervelocità; dal canto suo Oliver ha esperienza e maturità e sa essere un grande mentore per Barry riuscendo addirittura ad insidiarlo in combattimento. 


 E la cosa più bella da appassionato di fumetti oltre che fan di ambe le serie tv, è proprio riuscire a vedere come due prodotti così diversi funzionino insieme nella maniera più armonica: dai personaggi secondari ai contesti narrativi, dalla colonna sonora che arrangia i principali temi dei protagonisti l'uno nelle serie dell'altro agli effetti speciali che uniscono i loghi degli show per celebrare l'evento.


 Il crossover ripaga citando a destra e a manca personaggi dapprima solo accennati, la possibilità di un universo più grande e condiviso da altri eroi di cui seppur non si parla probabilmente sono sempre stati lì (che ci si prepari a cosa arriverà POI?), attingendo a piene mani dalle mitologie dei rispettivi programmi mostrandoci nuovi volti e vecchie conoscenze pronte a fare ritorno.


In conclusione, questo crossover rappresenta tutto ciò che un appassionato di comics desidera. Conscio dei limiti, del target di riferimento della natura del prodotto, TheCW ha pigiato il piede sull'acceleratore ed è andata oltre, soddisfando a pieno le aspettative e lasciandomi per la prima volta completamente appagato da quanto andavo guardando. Perché quindi non darò 10 pieno? Perché siccome quest'esperimento è destinato a ripetersi in futuro, auspico possa migliorarsi ancora di più. Ma l'universo condiviso da DC Comics in tv funziona, eccome se funziona.

Consigliatissimo.

mercoledì 12 novembre 2014

4x21 - La scrittura di Bruno Heller: parallelismi fra Gotham e The Mentalist

Mi sono finalmente rimesso in pari con The Mentalist. Ero curioso di capire perché il pubblico dicesse che Bruno Heller "ha rovinato tutto", ebbene, dopo l'episodio che chiude definitivamente il conflitto con la nemesi della serie, Red John, sono riuscito a scoprirlo: la serie è sottoposta ad un cambio di registro costante, in cui si passa dalla commedia al sentimentale, dall'action all'investigativo, da episodi prettamente verticali ad archi narrativi composti da poche puntate... insomma, gli ultimi episodi della settima stagione di The Mentalist non sono altro che una fase embrionale di quanto Heller sta facendo ora con Gotham.

 
Lo spettatore tuttavia ha ben ragione di restare 'sorpreso', in quanto nell'arco delle prime sei stagioni Heller ha sempre seguito uno schema fisso da cui non è mai uscito: apertura stagionale collegata a Red John, episodi di natura verticale che approfondiscono orizzontalmente la crescita dei comprimari, mid-season finale ricollegato a Red John, altri episodi di natura verticale con accenni al background dei vari personaggi fra cui il protagonista, doppio season finale dedicato a Red John con relativo cliffhanger annesso.

La domanda sostanziale che lo spettatore si è posto è: "ora che Patrick ha trovato Red John, che senso ha continuare la serie?" Risposta: The Mentalist è un percorso.



Patrick è sempre stato ossessionato da John per quello che lui aveva fatto alla sua famiglia e a tante persone lui care, in particolar modo è possibile leggere il rapporto Patrick/John come quello di Batman/Joker -con tutte le differenze e licenze creative del caso-, al punto che lo spietato serial killer aveva condizionato anche i titoli di tutti gli episodi della serie che dal pilot avevano il colore rosso... finché una volta stanato e sconfitto il nemico, si scopre quello che spesso in questo genere di brand non si esplora mai: le conseguenze dopo l'epilogo, scoprire cosa viene dopo. Come passerà Patrick il resto della propria vita? Quale sarà l'approccio al suo lavoro? Come gestirà le conseguenze dei suoi gesti? Sarà in grado di aprire di nuovo il cuore a qualcuno? A tutte queste domande Heller sta provando a darci una risposta, e smetterà di farlo con la prossima stagione.

John era un punto d'arrivo, non il traguardo.
Onestamente io mi sento di PREMIARE Heller, e non di condannarlo.
Fa quello che qualsiasi autore teme di fare con la propria opera perché teme il giudizio del pubblico: snatura, cambia, sperimenta, osa, prova, tenta, scopre... ben venga chi esce dagli schemi e prova a fare qualcosa di diverso, soprattutto riuscendovi! Ci fossero più menti simili in tv, usciremmo dagli schemi canonici a cui la televisione ci ha abituati e rivaluteremo più facilmente alcuni generi che evitiamo di proposito!


Ora so che potreste dirmi: "ma se apprezzi questo schema in The Mentalist, perché lo hai condannato in Gotham?" Semplicemente perché The Mentalist non è vittima delle stesse ingenuità di Gotham! La verticalità delle indagini è originale, profonda e non stereotipata, i personaggi si muovono da soli e con un percorso stabilito che non hanno fretta di percorrere, nessuno è in scena forzatamente o interagisce con altri senza un motivo ai fini di trama. Adesso i più puntigliosi diranno: "ma Gotham è tratto da un fumetto, non puoi pretendere che..." ALT. Vi interrompo maleducatamente per dirvi che l'approccio della serie è stato a più riprese dichiaramente destinato ad un pubblico maturo, in grado di intrattenere un pubblico di adulti, esattamente come The Mentalist che per certi versi si è persino mostrato meno crudo di quanto ha fatto il prequel di Batman.

È per questo che mi arrabbio con Heller.
Non perché "ha rovinato tutto" con The Mentalist, ma perché non è riuscito a produrre la stessa qualità con Gotham
, quando si ha un vantaggio aggiuntivo: la possibilità di esplorare personalità già scritte da terzi ed il successo commerciale che ne deriva, anziché sfruttare una proprietà originale. Questo comporta maggiori aspettative? Assolutamente, ma anche ascolti più facili. Onestamente è più facile portare ascoltatori e curiosità ad un prodotto che si presenta come "l'origine degli eroi e dei villain appartenenti all'universo del personaggio più carismatico e famoso di DC Comics che oggi compie 75 anni" che "la storia di un mentalista che prova a catturare il killer che gli ha ucciso la famiglia", è necessario essere realisti.


 Molti dicono che The Mentalist naviga in cattive acque in termini d'ascolti, in realtà non è così: la serie ha perso ascolti in seguito a questa sperimentazione, ma i risultati s'attestano comunque al di sopra degli 11.000.000 solo in live, figurarsi aggiungendovi i risultati di registrazioni, streaming legali e repliche. E se questi sono gli ascolti OGGI, immaginate prima del climax di Red John a che punto erano. Ricordiamoci che Gotham al suo meglio non ha raggiunto i 9.000.000, un risultato molto buono per il primetime FOX che però non è riuscito a mantenersi stabile e che sicuramente visto quanto fatto da Heller stesso con The Mentalist su CBS, è al di sotto delle aspettative previste.

Perché tutti questi parallelismi fra i due show?
Perché fortunatamente "tornerà la luce." [cit.]

Gli ultimi due episodi di Gotham sono quanto di più mentalistiano sia stato prodotto: puntate con il carisma di un season finale e finalmente una struttura fissa già usata prima (la novità di questa settimana nel registro di Gotham è che per la prima volta "non ci sono novità") che consiste in: indagine verticale da una parte e prosecuzione orizzontale dall'altra, ma con un approccio più maturo ed accattivante che strizza sì l'occhio ai toni del fumetto e che si dimostra ancora piuttosto ingenua, ma che porta alla luce l'introspezione dei personaggi, momenti puramente action ed un attacco al capitalismo con analogie d'autore. Ora i personaggi iniziano a muoversi da soli, chi prima sembrava dovesse stare nella serie per inerzie e fosse rilegato a comparsate forzate con i comprimari anche quando non aveva ragione di trovarsi lì ha uno scopo e tutto sembra collegarsi in modo naturale e con i propri ritmi. Gotham sta iniziando a respirare rispettando la leggendaria mitologia dei fumetti da cui è tratta e al contempo mettendo del proprio attingendo a piene mani dall'esperienza che Heller ha accumulato negli scorsi mesi.


In ambito televisivo Bruno Heller è diventato uno dei miei autori preferiti, ben lungi dalla perfezione ma allo stesso tempo estremamente innovativo, ricco di personalità e coraggioso, e che va quindi premiato perché prova a svecchiare un genere spiazziando il proprio pubblico con risultati più riusciti di altri. Ora che ho visto come la stesura di The Mentalist ha influenzato la prima stagione di Gotham, la curiosità che mi preme di più assecondare è scoprire come la stesura di Gotham influenzerà la stagione finale di The Mentalist.